Domande e Risposte
Le domande più frequenti poste dai clienti.
La separazione consensuale sussiste quando i coniugi raggiungono un accordo nel regolamentare gli aspetti economici e patrimoniali (ad esempio, la spartizione dei beni, l’utilizzo della casa coniugale, l’assegno di mantenimento, ecc.) e relativi alla genitorialità e al collocamento della prole (ad esempio, l’affidamento dei figli, le modalità di visita e di condivisione del tempo che questi trascorreranno con i genitori, la divisione delle spese scolastiche, sportive, mediche, ecc.).
Per procedere alla separazione consensuale i due coniugi possono depositare un unico ricorso congiunto presso il Tribunale, con l’ausilio di un solo legale. L’accordo può essere raccolto e sottoscritto anche attraverso la negoziazione assistita, direttamente presso lo studio legale e senza recarsi in tribunale.
L’iter processuale di una separazione consensuale è breve circa tre mesi.
La separazione giudiziale diviene necessaria nel momento in cui non vi è la possibilità di stabilire tra i coniugi gli accordi sulle condizioni della separazione. In questo caso, al termine di un processo civile ordinario, sarà il tribunale a decidere con la sentenza le condizioni di separazione. Nel caso di una separazione giudiziale, uno dei due coniugi difeso dal proprio legale, depositerà il ricorso autonomamente al Tribunale competente.
L’iter processuale di una separazione giudiziale è lungo, per cui risulta complesso prevederne i tempi.
Il calcolo dell’assegno di mantenimento a favore dei figli non prevede l’uso di tabelle o formule matematiche da applicare in modo preciso, occorre infatti valutare il caso specifico. Il genitore che non vive insieme ai figli è obbligato a contribuire al loro mantenimento e tale contribuzione viene determinata considerando variabili concrete, quali: la situazione reddituale di ciascun coniuge, beni di proprietà, tempi di permanenza dei figli con ciascun genitore, esigenze necessarie al vitto, alloggio, educazione e istruzione della prole.
Per definire quanto spetta per il mantenimento dei figli è consigliabile considerare un importo che possa trovare l’accordo di entrambi i coniugi, in caso contrario sarà il Giudice a fissare l’entità dell’assegno ordinario nel corso della causa, secondo le stime del caso concreto.
Il divorzio diretto o immediato è una procedura che consente di mettere fine all’unione del matrimonio in un unico passaggio, senza la fase della separazione. In questo caso, il divorzio può essere richiesto in modo congiunto da entrambi i coniugi, con la procedura del divorzio consensuale, oppure da uno dei due coniugi, presentando ricorso nei confronti dell’altro, attraverso l’iter del divorzio giudiziale.
Per i cittadini italiani non vi è la possibilità di divorzio diretto, prima occorre procedere con la separazione.
Questa procedura è un’opzione plausibile per esempio tra cittadini stranieri residenti in Italia e con cui, in caso di accordo tra i coniugi, si può procedere direttamente al divorzio qualora previsto nello Stato di appartenenza. Poiché la sentenza di scioglimento del matrimonio venga riconosciuta anche nel Paese d’Origine, occorre seguire un iter preciso: traduzione asseverata, legalizzazione e Apostille della sentenza.
In caso di intervento chirurgico sbagliato, causato quindi da un errore medico, la struttura ospedaliera e il medico chirurgo che ha eseguito l’intervento devono farsi carico dei danni perpetrati al paziente. Perché si configuri l’errore, il medico deve aver agito in modo non conforme agli standard definiti dalle Linee guida clinico assistenziali in fase pre-operatoria, operatoria o post-operatoria.
Per ottenere il risarcimento danni da intervento chirurgico sbagliato, occorre rivolgersi sin da subito a un legale che possa compiere una valutazione dell’entità dei danni riportati e che confermi il danno come la conseguenza diretta e immediata del comportamento colposo del sanitario.
Prima di procedere con la richiesta di risarcimento per errore medico, è necessario sottoporre il caso a un esame medico-legale approfondito, coinvolgendo medici-legali di riferimento per effettuare le valutazioni del caso concreto.
Tra le conseguenze della guida in stato di ebbrezza, oltre alle sanzioni amministrative, sono previste quelle penali. Esse possono variare in funzione del tasso alcolemico rilevato sul conducente:
– tasso alcolemico compreso tra 0,5 e 0,8 g/l: è prevista la sanzione amministrativa da 543 euro a 2.170 euro e la sospensione della patente da tre a sei mesi;
– tasso alcolemico compreso tra 0,8 e 1,5 g/l: è prevista un’ammenda da 800 euro a 3.200 euro, l’arresto fino a 6 mesi e la sospensione della patente da sei mesi a un anno;
– tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l: è prevista la sanzione sia penale che amministrativa, nello specifico un’ammenda da 1.500 euro a 6.000 euro, l’arresto da 6 mesi a un anno, la sospensione della patente da uno a due anni e la confisca del veicolo.
In tutti e tre i casi, occorre rivolgersi a un legale al fine di valutare un’adeguata difesa nel procedimento penale.
Tra le sanzioni per guida in stato di ebbrezza, la messa alla prova è un istituto recente che permette all’imputato di valutare con il proprio legale, all’interno di un procedimento penale, lo svolgimento dei lavori di pubblica utilità a favore di un Ente Convenzionato con il Tribunale.
La messa alla prova determina la sospensione del processo e consente al termine dello svolgimento dei lavori, l’estinzione del procedimento, evitando pertanto una sentenza di condanna.
Quando si configura il reato di guida in stato di ebbrezza per il superamento dei tassi alcolemici previsti dalla legge, in assenza di un sinistro stradale, la pena detentiva e pecuniaria possono essere sostituite dai lavori socialmente utili: attività non retribuite in favore della collettività, da svolgere nell’ambito della sicurezza e dell’educazione stradale.
Lo svolgimento dei lavori di pubblica utilità consente l’estinzione del reato, la revoca della confisca dell’auto e la riduzione del periodo di sospensione della patente.
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